Fair Play è un dramma divisivo, capace di offrire molti spunti di riflessione, proprio per merito della sua obiettività: sicuramente una visione consigliata, ancor meglio se in coppia!
Fair Play, diretto da Chloe Domont, inizia con il racconto di una storia d’amore tra Emily (interpretata da Phoebe Dynevor) e Luke (Alden Ehrenreich). Una storia passionale e profonda che si svolge nell’ombra; i due, infatti, lavorano come analisti nello stesso fondo d’investimento a Manhattan, dove le relazioni sentimentali sono contrarie alla politica aziendale. L’ambiente lavorativo odora di competizione, quella che si può respirare solo in città come New York, tra dipendenti il cui scopo è scalare quanto più rapidamente possibile la piramide gerarchica. Nonostante dividano lo stesso appartamento e abbiano anche programmato di sposarsi, Emily e Luke, a lavoro, fingono di conoscersi appena.
La promozione divisiva in Fair Play
Il ruolo di Project Manager, che a causa di un equivoco la coppia pensava fosse già assegnato ufficiosamente a Luke, va invece ad Emily: è l’evento che innesca una serie di reazioni devastanti. Il motivo è presto detto, e fa riferimento alla società patriarcale e maschilista che pare non avere confini. Le dinamiche presenti nel piccolo paesino di provincia si ripetono in scala metropolitana. Sul lavoro, l’avanzamento di carriera di un uomo è frutto delle sue capacità, il parallelo avanzamento di una donna, al contrario, non può esimersi da altro, ed è legato a una sua “diversa disponibilità”. L’ambizione personale smisurata di entrambi manda in tilt la coppia, che non regge il peso della pressione di un cambio di prospettiva non previsto. La promozione ufficiosa di Luke viene festeggiata in gran stile, con tanto di Champagne, mentre la promozione (effettiva) di Emily necessità quasi delle scuse della promossa.
Fair Play, un film disturbante
Viste le premesse, verrebbe immediatamente da porsi dalla parte di Emily. Ma Fair Play non è la solita storia di emancipazione femminile, non è un thriller politicamente corretto. L’arrivismo sfrenato dei due emerge mettendo in evidenza la parte peggiore di entrambi: Luke che non accetta di stare “un passo indietro” alla sua compagna, ritenendolo un’ingiustizia a priori; Emily che fa suo il peggior modo maschile di emergere, mettendo in mostra il potere acquisito con ostentazione e arroganza. La voglia di potere acceca la coppia, portandoli a comportamenti caratterizzati dalla totale assenza di morale. Se schierarsi è difficile – almeno fino al punto di non ritorno – è facile porsi degli interrogativi. Ed è qui che Chloe Domont riesce egregiamente: nel far vedere come la sete di potere possa portare alla deriva personale ed etica sia l’uomo che la donna
Il sesso in Fair Play
Di disturbante – e a tratti persino angosciante – in Fair Play, non c’è solo l’arrivismo sfrenato, ma anche il modo in cui la coppia vive il sesso. Da un lato come esercizio di libertà – la scena iniziale che sdogana il ciclo mestruale è azzeccatissima! –, dall’altro come strumento per ottenere qualcosa, per negoziare, per riconciliare, per allentare la tensione. L’erotismo come fattore risolutivo di crisi e malumori. Una visione complessa solitamente non facile da rendere cinematograficamente, dove le scene di sesso spesso rappresentano un intermezzo nonsense all’interno della storia principale.
Fair Play è un dramma divisivo (a pochi giorni dall’uscita su Netflix ha già conquistato svariate analisi e recensioni, alcune decisamente tranchant), capace di offrire molti spunti di riflessione, proprio per merito della sua obiettività: sicuramente una visione consigliata, ancor meglio se in coppia!
Daniela Piras