Il termine storytelling è un inglesismo che traduce il sostantivo francese affabulation, derivato di fable «favola», sul modello del tardo latino affabulatio -onis, ossia «morale della favola». Dunque, lo storytelling è la naturale evoluzione dell’arte dello scrivere storie. Muove sui binari di un intreccio avvincente ed è volto a carpire l’attenzione dello spettatore, regalando una storia. L’affabulatore non elargisce menzogne, ma esempi di verità che pretendono di risultare accattivanti quanto riconoscibili al pubblico.
Questo è il motivo per cui tale approccio narrativo si sviluppa, cresce e funziona bene in contesti pubblici e pubblicitari, politici e commerciali.
Esempi di Storytelling, dai riferimenti letterari al web marketing
In “Remediation: Understanding New Media”, Bolter e Grusin coniano il neologismo rimediazione riferendosi a quel meccanismo che vede il riadattamento di un contenuto all’interno di un altro contenitore. Traducono nel pratico l’intuizione di Marshall McLuhan: “Il contenuto di un medium è sempre un altro medium”.
La morale della favola si adatta quindi ai nuovi media digitali e diventa storytelling di nuovi scenari. Il discorso narrativo si carica di esperienze uniche e invoglia alla riflessione. Trasmette contenuti emozionali che possono risultare condivisi e condivisibili all’interno di un immaginario culturale collettivo a cui si sente di poter appartenere. Questo è lo scopo dello storytelling e per funzionare deve tener conto del target scelto e del tempo, ritmo e tono della sceneggiatura.
Nel web marketing è la soluzione ideale per veicolare idee e valori, per lasciare che una realtà si presenti in ogni sua sfaccettatura. Senza slogan e sovrastrutture, ma attraverso voci narranti, volti umani e personali punti di vista, emozioni e colonne sonore/jingles che solleticano l’inconscio sensoriale, fino a diventare iconici. Esempio recente è la campagna Netflix per il global fan event Tudum, in onore della sigla ormai irreversibilmente connessa alla piattaforma e che sa di divano, coperta e binge watching.
Perché funziona? Perché si accompagna visivamente lo spettatore attraverso la storia di anni e idoli, si concretizza a parola un suono assimilato e fin troppo riconoscibile, riunisce una comunità già emotivamente inter-connessa. E poi, chi non l’hai mai canticchiato almeno una volta?
Esempi di Storytelling: l’arte di coinvolgere
Tra i tanti esempi di storytelling possibili, per prima cosa si può differenziare per natura della narrazione, o meglio in base al mezzo e al linguaggio scelti.
Lo storytelling può essere prevalentemente scritto – quindi il risultato di un ottimo lavoro di copywriting -, video editato, o fotografico.
Diverse sono anche le aree tematiche a cui si può applicare. È possibile leggere di storytelling formativo e didattico, ricordare esempi di storytelling aziendale (propriamente detto corporate) e di promozione enogastronomica o turistica. Addirittura motivarsi con casi di storytelling personale auto-determinativo (storico è il discorso di Steve Jobs nel 2005 ai neolaureati della Stanford).
Il perché però lo storytelling sia diventato il fenomeno comunicativo del millennio risiede nel fatto che è uno dei modi di trattare contenuti che più si adattano alla nostra società iper e globalmente connessa. La vera tara con cui misurare e scegliere prodotti è tornata a essere proprio quel sugo della storia per cui, agli occhi dell’utente, vale la pena impiegare tempo e spendere risorse.
Comunicazione digitale: è possibile parta anche dal basso?
Particolarmente impeccabile – se fatta ad arte – è la narrazione nel mondo digitale. Così se è per strada che è nato il progetto fotogiornalistico Humans of New York con l’obiettivo iniziale di “photograph 10,000 New Yorkers on the street, and create an exhaustive catalogue of the city’s inhabitants“, non può stupire che sia piaciuto a tal punto da diventare un best seller, il capostipite di una serie seguitissima e la prima di pagine gemelle dedicate a molte altre città.
Ma il racconto digitale, se ben predisposto, può arrivare anche dalla stessa comunità d’utenza: è il caso delle campagne social e dei trend topics in forma di hashtag. Ad esempio: il caso internazionale della campagna Google #YearInSearch, una vera e proprio top list della cronologia degli utenti, e il doodle “Stay home. Save lives.”, pioniere di una serie di contenuti dettati dalla coalizione globale durante il lockdown.
In Italia, un esempio si attribuisce al MiBACT con la campagna di comunicazione “L’arte ti somiglia“: promuovere i musei italiani in tempi di chiusura, invitando gli utenti a ricreare opere d’arte in casa.
Storytelling data driven: creepy o geniale?
Tra gli esempi di storytelling poco ordinari sicuramente si annovera quello che nasce dai dati (per l’appunto, data driven) che la stessa azienda raccoglie durante l’interazione dell’utente. Dati che poi adopera per creare contenuti personalizzati. È il caso di Spotify che, nel 2017, aveva raccolto in un sito interattivo tutti gli andamenti di ascolto nei college americani. O più attuale, il riprodottisimo Spotify Wrapped di fine anno.
La raccolta dati può essere finalizzata anche alla divulgazioni di informazioni socialmente utili.
Curioso è, in tal senso, il background di New York’s Noisiest Neighborhoods: la mappa che mostra l’inquinamento acustico della città di New York per zone e fasce orarie. Nasce a tutti gli effetti dall’indagine di Ben Wellington a partire da lamentele e cause intentate per rumori molesti. Chi non l’adoprerebbe?
Dunque, se volessimo tratteggiare gli elementi comuni a un buon storytelling sarebbero: osare ed essere creativi, restando autentici; creare un personaggio e una storia referenziali al prodotto o all’azienda, senza rinunciare alla possibilità di condivisione di un ideale; emozionare. Sempre.
C’è chi ha sospirato, e chi mente.
Pamela Valerio