Difficile trovare un romanzo dal titolo più descrittivo. Infatti, ciò che Emanuele Trevi racconta in questo breve memoir, edito da Neri Pozza, sono proprio le vite di due persone. O almeno le vite che, quando le persone non ci sono più, restano nell’unico luogo possibile: il giardino dei ricordi.
Un memoir struggente
Struggente perché c’è emozione vera in questo libro. Scaturita dalla memoria di un autore che a Rocco Carbone e Pia Pera, i due amici di cui racconta, voleva bene, voleva davvero molto bene. E quando in un trio di amici che hanno condiviso interessi, percorsi e risate, due scompaiono prematuramente, l’ultimo rimasto deve fare i conti con la sopravvivenza che è toccata proprio a lui. Emanuele Trevi, fra i tanti temi che affronta, si sofferma spesso su quello del destino. Un destino a volte così inaspettato da destare sconcerto, altre volte quasi pronosticato da piccole coincidenze e labili legami di causa ed effetto. I quali, però, potrebbero essere anche fallaci ricostruzioni umane; e allora davvero è solo il caso a comandare.
Le vere rivoluzioni sono trasformazioni: di ciò che già sappiamo, di ciò che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi. Perché è vero solo ciò che ci appartiene, ciò da cui veniamo fuori.
Emanuele Trevi, “Due vite”, p. 100
Una scrittura colta, fra ricordi di artisti e scrittori
Colta perché la prosa di Emanuele Trevi è sciolta ma sinuosa, mai rigida, cerca sempre quel dettaglio in più da esplorare, quel ripensamento con cui prolungare il discorso. Serve attenzione durante la lettura ma è un’attenzione che viene ripagata, che apre le porte di un mondo intellettuale e artistico fatto di viaggi, diari, romanzi, traduzioni, case editrici, conoscenze private e professionali. Il legame con il mondo della cultura è così intenso che molte esperienze ed emozioni vengono raccontate mediante paragoni con famosi personaggi letterari (molto belli in particolare i riferimenti all’Evgenij Onegin di Puškin), in un gioco a rincorrersi fra realtà e finzione.
Emanuele Trevi affronta due verità scomode ma necessarie
Scomode ma necessarie perché ci vuole coraggio e perfino un po’ di sfrontatezza ad ammettere anzitutto che le attività, i pensieri e le emozioni, di cui l’essere umano riempie le giornate, non sono altro che tentativi di sfuggire alla paura. La paura dell’ignoto, della casualità fatale, della malattia ineluttabile, della fine – prematura o meno che sia. E poi ci vuole coraggio ad ammettere quanto sia difficile essere amici di persone afflitte da disagio psichico, a sopportarne gli sbalzi di umore e il frequente egocentrismo. Attitudini di cui non li si può ritenere responsabili, ma comunque capaci di ferire, dunque di causare allontanamento, e infine di costringere a un lavoro lungo e paziente per superare il senso di colpa. Se uno dei compiti degli intellettuali è metterci di fronte ai nostri limiti, con questo libro Emanuele Trevi lo fa in modo magistrale.
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Questo libro è uno dei candidati al Premio Strega di quest’anno. La cinquina dei finalisti sarà annunciata il 10 giugno; se nel frattempo vuoi conoscere tutti gli altri, qui puoi consultare l’elenco completo.