Pubblicato da Mondadori nel 1990, da tempo è assente dalle librerie italiane e non sempre lo si trova sul mercato dell’usato. Eppure meriterebbe una ristampa
Va bene, lo sappiamo: Leo Buscaglia, lo scrittore italoamericano che raccontava l’amore, è passato di moda. In Italia ha avuto il suo momento di gloria nella seconda metà degli anni Ottanta e negli anni Novanta, quando è stata tradotta gran parte dei suoi libri (con uno scarto di circa un decennio rispetto all’uscita negli USA). Fra questi, l’unico ristampato di recente da Mondadori è Vivere, amare, capirsi, titolo peraltro molto lontano dall’originale Living, Loving and Learning.
Leo Buscaglia (1924-1988) è stato un docente, scrittore e conferenziere molto popolare, soprattutto negli Stati Uniti, dove ha scritto libri, tenuto incontri e condotto programmi televisivi sul tema dell’amore, inteso non (solo) come amore di coppia ma soprattutto come solidarietà e comprensione reciproche, le quali se vissute con costanza, come scelta da operare di giorno in giorno, possono portare a condurre una vita piena e felice. Nulla di particolarmente originale, anzi si tratta di una tesi che si potrebbe anche giudicare troppo ottimista se non addirittura stucchevole, ma negli USA Buscaglia è stato uno dei personaggi più amati dal pubblico degli anni Ottanta, e le sue lectures mandate in onda dalla PBS furono a lungo i programmi più seguiti dell’emittente. Vivere, amare, capirsi è a tutt’oggi il suo libro più diffuso probabilmente proprio perché raccoglie i testi di alcune fra le conferenze meglio riuscite, oltre che ricche di aneddoti, esempi e citazioni che spiegano con chiarezza il suo pensiero.
Una storia di immigrazione e integrazione
Buscaglia non ha mai fatto mistero di ritenere fondamentale, per la sua crescita e la sua formazione, l’educazione “mista” che ricevette da ragazzino, crescendo nella società statunitense da una famiglia di italiani immigrati. Molti dei suoi ricordi, di bambino e di adulto, sono raccolti in un volumetto intitolato Papà nell’edizione italiana, ma che in originale era Papa. My father, proprio per mettere in luce la doppia anima di quella famiglia che amava le sue origini valdostane ma amava anche il Paese in cui aveva scelto di vivere. Il testo, di piccolo formato, con rilegatura rigida rivestita in tela e avvolta da sovraccoperta, è diviso in dieci capitoletti, ciascuno dei quali ricorda un aspetto in particolare di questa figura sensibile e poliedrica (“il marito”, “il maestro”, “il patriota”, “l’ambientalista” eccetera). Ogni episodio è raccontato in modo vivido e sentito; è facile in tanti di essi riconoscere avvenimenti simili capitati anche a noi, è facile ravvisare nel carattere affettuoso ma autorevole di questo padre qualcosa dei nostri padri o dei nostri nonni.
Insomma è un libro scorrevole, veloce, toccante, una lettura adatta anche ai regali (natalizi e non), un libro che invecchia bene; eppure, dopo quell’edizione del 1990 così ben curata da Mondadori, di Papà non si trova più traccia nel catalogo né di quell’editore, né di altri. Un gran peccato. Sarebbe adattissimo da riproporre in un formato super-tascabile, uno di quei libriccini formato 11×16 centimetri o giù di lì, tra cui a volte si nascondono piccole perle, esposte accanto alla cassa delle librerie per invitare il cliente a concedersi uno sfizio prima di uscire. In questo caso, uno sfizio che merita.