In sette episodi, la serie animata prosegue la saga dei due film di Pacific Rim prodotti da Guillermo Del Toro: due nuovi piloti guidano un colossale Jaeger
Il franchise di Pacific Rim procede a lenti passi, come i giganteschi robot umanoidi che lo popolano: un primo film nel 2013 prodotto e diretto da Guillermo Del Toro, poi un sequel nel 2017 (Pacific Rim – La rivolta, diretto da Steven S. DeKnight ma sempre con Del Toro come produttore), poi dopo altri quattro anni una serie animata prodotta da Netflix – anzi sarebbe meglio parlare di miniserie, trattandosi di soli sette episodi, ma la popolarità del franchise e il cliffhanger finale lasciano già presumere che arriverà un seguito.
Del Toro ha un feeling tutto suo con le creature fantastiche, basti vedere l’ottimo lavoro fatto con i film di Hellboy (2004 e 2008) e con il poetico La forma dell’acqua (2017). I Kaiju, ovvero i mostri misteriosi che minacciano la Terra in Pacific Rim, sono tratti dall’immaginario nipponico di Godzilla e di altri a lui affini come Gamera, Mothra e Gojira solo per nominarne alcuni; di converso, i robottoni guidati da coppie di piloti umani, che per riuscire a muoverli devono collegare le loro menti a una rete neurale, fanno riferimento al celebre anime Neon Genesis Evangelion sotto il profilo umano e psicologico, ma per l’aspetto fisico e meccanico ricordano più i precursori del genere robotico creati da Go Nagai, tra cui i più noti sono Goldrake, Mazinga Z, Jeeg Robot, Il Grande Mazinger. Questa scelta era stata particolarmente incisiva, specie se pensiamo che, negli anni precedenti a Pacific Rim erano usciti i primi tre film dei Transformers, basati su trasformazioni velocissime e movimenti spettacolari, dall’aspetto ultramoderno e ultradinamico. Gli Jaeger di Pacific Rim sono invece massicci, ferrosi, imponenti montagne di metallo sotto i cui passi la terra trema, e questa estetica viene ripresa anche nella serie animata. Con l’aggiunta di nuove tecnologie avveniristiche (dopotutto la nuova storia si svolge qualche anno dopo Pacific Rim – La rivolta, che già era ambientato nel 2035) fra cui un’intelligenza artificiale che coadiuva i giovani protagonisti.
Una nuova location: l’Australia
A loro volta i Kaiju mantengono l’aspetto abnorme e minaccioso, grazie non solo alla mole ma anche alle forme, sempre mutevoli, e alle striature di un azzurro fosforescente che si fa tanto più intenso quanto più ci si avvicina alle “bocche” o ad altre cavità inquietanti. Le somiglianze estetiche fra i film e la serie animata, che contribuiscono a dare un’idea di continuità sempre utile a rendere coeso un universo narrativo che si allarga, sono però fra i pochi pregi della serie. Ad essi si può aggiungere un buon character design e un buon uso di sfondi e mecha design, che però perdono di efficacia nelle sequenze che necessitano di animazioni veloci e fluide: i movimenti tendono a essere rigidi, le profondità fra piani diversi vengono talvolta risolte con sfasamenti ormai scontati, c’è una separazione nettissima, quasi sgradevole fra gli sfondi e i personaggi (o gli Jaeger e i Kaiju) che su quegli sfondi vengono animati.
Anche la storia procede senza particolari guizzi: sembra quasi che l’intento non sia davvero quello di raccontare una nuova avventura affidata a Taylor e Hayley, fratello e sorella che diventano co-piloti di uno Jaeger, bensì di ampliare l’universo narrativo spostando l’azione in Australia e usandola come campo da gioco per aggiungere pedine, umane e non – e una di quelle pedine è presentata in modo così artificioso da rendere prevedibile che alla fine abbia dei segreti da rivelare. Il finale lascia aperte molte strade: dopo aver tanto lavorato sul worldbuilding (e su un paio di comprimari), speriamo che con la seconda serie arrivi il momento di puntare sulla storia.