La piattaforma di streaming toglie alcuni storici film animati dalla sezione per i bambini, lasciandoli solo in quella per gli adulti
Se ne parla da giorni: il politically correct all’attacco della Disney, la censura contro film animati che hanno fatto la storia del cinema. Ma sono così drastici i termini della questione? Ed è così facile anche solo avere ben chiari e definiti questi termini?
Il fatto: d’ora in poi, su Disney+, tre storici film d’animazione disneyani (Dumbo, Gli Aristogatti, Peter Pan) non saranno più presenti nella sezione accessibile senza filtri ai bambini sotto i sette anni. Sono infatti state ravvisate, in questi film, rappresentazioni stereotipate e offensive degli afroamericani, degli asiatici e dei nativi americani. Da qui, l’esigenza di anteporre un disclaimer all’inizio di ciascun film, che recita:
Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi. Invece di rimuovere questo contenuto, vogliamo ammetterne l’impatto dannoso, trarne insegnamento e stimolare il dialogo per creare insieme un futuro più inclusivo. Disney si impegna a creare storie con temi ispiratori e aspirazionali che riflettano la ricca diversità dell’esperienza umana in tutto il mondo.
Il disclaimer anteposto ai contenuti controversi di Disney+

C’è differenza tra censura e disclaimer
Comunque la si pensi sull’opportunità o meno di intervenire, è però sbagliato in una circostanza come questa parlare di censura, come da più parti si è fatto. Censura sarebbe tagliare le parti incriminate dei film o sostituirle con sequenze diverse o ridoppiate; nel caso dei film Disney, si è trattato semplicemente di fare in modo che i bambini più piccoli di sette anni possano guardare quei film solamente in presenza dei genitori, i quali sono in grado di leggere il disclaimer e spiegarlo ai figli (e, volendo, approfondire l’argomento su Stories Matter, il sito a cui la Disney stessa rimanda per saperne di più).
Ci sembra più interessante un altro tema, e cioè la necessità di individuare un punto di equilibrio fra la sacrosanta necessità di educare le generazioni più giovani all’inclusività e al rispetto delle minoranze, e il sacrosanto diritto di artisti e creativi a produrre i loro contenuti, anche e soprattutto umoristici. Il che però significa, spesso, scegliere proprio la strada dello stereotipo, della pennellata veloce, del mettere in luce ciò che rende un personaggio, o un gruppo di personaggi, diverso da altri. Un tic, una parlata straniera, un aspetto goffo, un atteggiamento caratteristico: tutti meccanismi di ironia e umorismo visti mille volte, non sempre piacevoli per chi ne è “vittima”, ma che sotto una certa soglia, che potremmo invece chiamare punto di rottura, non è detto debbano sempre essere chiariti e contestualizzati, come una barzelletta che non diverte più nel momento in cui bisogna spiegarla.
Non sarebbe meglio, semmai, che ogni spettatore (in rapporto alla sua età) avesse gli strumenti storici e culturali per riconoscere gli stereotipi, nei film come nei romanzi come in tutti gli aspetti della vita? Purtroppo, la soluzione più lineare è anche la più complicata, perché presuppone investimenti sostanziosi nella cultura e nella scuola. In attesa di risvegliarci in un mondo migliore, Disney+ e altri non potranno che continuare la politica del disclaimer.
