Alessia Bottone, affermata regista e vincitrice dei Nastri d’argento con il docufilm La Napoli di mio padre, terrà per Other Souls il workshop “Dall’idea alla realizzazione di un cortometraggio”, che partirà il 10 gennaio.
Il docufilm la Napoli di mio padre ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui, lo scorso giugno, i Nastri d’argento. Puoi parlarci della genesi di questo lavoro?
L’idea nasce da una suggestione. Spesso i cortometraggi si sviluppano da un’immagine, da qualcosa che ci emoziona e che ci fa venir voglia di riflettere su un argomento ma senza un’idea precisa di racconto. Nel mio caso, l’immagine che mi ha fatto emozionare è stata quella di mio padre, nel 2015, a passeggio con mio fratello per Napoli. Mi dissi che sarebbe stato bello trovare il modo di narrare una storia di famiglia, un racconto da padre a figlio. Attraverso degli escamotage narrativi che sono propri della narrazione filmica/cinematografica, ho pensato a come far diventare questa idea iniziale un cortometraggio.
La Napoli di mio padre è un docufilm aperto verso una dimensione intima. Attraverso quale processo questa intimità è diventata un vero e proprio prodotto?
Ho intervistato papà, facendomi raccontare quelli che erano gli aneddoti di famiglia e inserendo questi nel classico arco narrativo in tre atti. Il cortometraggio spesso si avvale di due e non tre atti, ma per La Napoli di mio padre il terzo calzava bene, aiutato anche dalla forma documentaristica dell’opera, che aveva dunque una tempistica più lunga di quella di un corto normale.
Ad ogni modo, oltre all’intervista ho lavorato molto sulla ricerca d’immagini. Nel mio caso si tratta di un cortometraggio con materiali d’archivio che segue però le regole della fiction, perché pur non effettuando riprese dal nuovo deve comunque seguire la linea narrativa di una sceneggiatura molto mobile e deve essere capace di adattarsi alle immagini già girate.
La scrittura è uno strumento che si modella anche a seconda del linguaggio utilizzato. Che caratteristiche ha una scrittura visiva come quella filmica?
La scrittura di un libro prevede un tipo di narrazione che mette il lettore in grado di entrare sia nella testa del personaggio che di vedere ambienti utilizzando solo le parole. Nel caso di cortometraggio, film o documentario, tutto quello che sono le parole deve essere reso per immagine. Quanto meno riusciamo a scrivere, migliore sarà il risultato. Ovvio che poi tutto dipende dal tipo di cortometraggio girato, ma nel momento in cui lavoriamo d’immagine si cerca di rendere azione tutto ciò che è stato scritto in sceneggiatura, anche lo stesso pensiero degli attori. Per chi parte da un tipo di scrittura narrativa, scrivere per immagini è una bella sfida, richiede un certo tipo di esercizio.
A brevissimo terrai un workshop per Other Souls, dove traccerai il percorso che conduce dall’idea al cortometraggio. Quali saranno i capisaldi del tuo programma?
Il corso è molto breve e si concentrerà su pochi fondamentali elementi: la discussione delle idee, la loro fattibilità, il brain-storming e l’analisi di cortometraggi già portati in scena. L’obiettivo del corso è quello di selezionare un’idea, capire magari quale può essere stata una forte suggestione personale e trasformarla in qualcosa che può essere reso interessante per un pubblico. Per fare questo sono necessarie sessioni di brain-stormig al fine di confrontare con la classe le idee che ciascuno dei partecipanti porterà. Si parlerà della scrittura per cortometraggi di fiction, quindi il lavoro sarà improntato sulla stesura di sceneggiatura, copioni e dialoghi da portare in produzione.
Alla fine del corso, cosa vorresti essere riuscita a trasmettere?
Vorrei che ogni corsista riuscisse a individuare qual è la vera idea che vuole portare avanti e il motivo per cui desidera lavorare al suo progetto. Serve una forte determinazione per mettere in scena un’idea, il lavoro alle spalle di un cortometraggio richiede un budget di una certa importanza e quindi sapere bene cosa si vuole comunicare, qual è il messaggio da trasmettere, è fondamentale.