Diciotto anni, campana, Valeria Marchese è una giovane autrice in cui al talento puro si affianca una interessante capacità di analisi sociale e culturale. Cresciuta sulla scena del poetry slam campano, ha già diretto un laboratorio di scrittura creativa, Tempo Scritto, e curato l’omonima antologia di prosa e poesia. Attualmente sta anche svolgendo un tirocinio per prendere il tesserino di giornalista presso il Magazine Informare e cura una pagina Instagram di promozione culturale, @paroleallinverso, dove si occupa di recensire libri e film.
Intervista a Valeria Marchese, poesia e laboratorio di scrittura
Come nasce l’idea del laboratorio di scrittura?
L’idea di realizzare un laboratorio di scrittura creativa è partito da me. Dopo aver vissuto un’esperienza simile nell’agosto 2020, ho pensato di replicare l’iniziativa, con modalità un po’ differenti, durante la seconda quarantena. Mi sentivo molto stanca – del modo in cui passavo quei giorni, intendo – sono una persona che tende sempre a tenersi molto occupata, anche quando fa qualcosa per un puro svago: ad esempio, guardo sempre film in lingua originale e sottotitolati in inglese, in modo tale da rendere quel momento di “relax” un’occasione leggera di apprendimento. In generale, lo sprecare tempo è sempre stata una mia ossessione. Così, per essere più “produttiva” ho pensato di chiamare un po’ di amici con interessi comuni, qualche annuncio sui social e ho raggruppato una decina di persone in questo progetto di scambio culturale.
La notizia del laboratorio è arrivata a Rosa Mancini, presidentessa dell’Associazione Culturale Poesie Metropolitane della quale faccio parte dal 2019. Rosa mi ha proposto di integrare il laboratorio nelle attività associate. Dalla seconda edizione del laboratorio, che ha poi preso il nome di Tempo Scritto, è nato il libro, una raccolta antologica di tutti i testi prodotti durante i nostri incontri.
Ora, sicuramente, il mio rapporto con il laboratorio è cambiato rispetto a prima, quando lo intendevo come un mezzo di apprendimento peer-to-peer. Sono anche cresciuta (avevo sedici anni quando ho iniziato il laboratorio, adesso ne ho diciotto) e di conseguenza sono cresciute le mie responsabilità. Attualmente rivesto un ruolo più formale e organizzativo, nonostante cerchi sempre di far trasparire il lato più personale che mi lega all’esperienza.
Come funziona adesso questo laboratorio?
Noi facciamo sempre una live su Facebook, una sorta di “lezione introduttiva”: presentiamo il laboratorio, raccogliamo le ultimi adesioni e poi gli iscritti sono invitati ad accedere a un gruppo Classroom e a un gruppo WhatsApp: nel primo carichiamo i testi prodotti, la traccia dell’esercizio, mentre nel secondo ci scambiamo informazioni più personali, anche non necessariamente legate alle attività del laboratorio: spunti, idee, link di approfondimento in merito a tematiche affrontate negli incontri.
In genere quando stilo la programmazione delle tracce del laboratorio cerco sempre di spaziare, mi concentro adesso sulla descrizione, adesso sull’aspetto introspettivo, la narrazione, lo spazio horror, quello giallo, in modo tale da recepire anche le diverse inclinazioni dei partecipanti, i quali leggono l’esercizio, producono un testo e una volta a settimana ci vediamo in streaming per parlarne. Non ci limitiamo a critiche sterili o complimenti: ci confrontiamo su aspetti più vari, a partire dalla genesi del testo, quindi andando a toccare anche un aspetto prevalentemente psicologico. È un ambiente molto sano, quasi un posto sicuro, una safe-zone dove nessuno giudica l’altro per quello che fa o per i testi che produce, anche perché siamo persone che, pur accomunate da storie e vissuti differenti, hanno una concezione molto simile di empatia.
Un aspetto interessante del laboratorio è sicuramente il fatto di mettere insieme tutte queste varietà e spingerle a confrontarsi su un unico punto comune. Un fatto interessante è avvenuto sicuramente nella scorsa edizione del laboratorio dove si è creato un dialogo molto costruttivo tra una ragazza diciannove anni appena entrata università e una donna di sessantacinque, ex insegnante e preside in pensione, che hanno discusso in merito all’ossessione per il perfetto rendimento, i problemi universitari, la ricerca della perfezione eccetera. Il testo della ragazza parlava di queste preoccupazioni, quello della donna invece dei rimpianti legati ad esse.
Prosa e poesia: due mondi paralleli che non si incontrano mai (solitamente).
Ognuno fa quello che sente più incline alla propria concezione di scrittura, ma questo indubbiamente cambia il modo in cui questa arriva. C’è un ragazzo che ha partecipato al laboratorio, Luigi Pellegrino, che scrive sia in prosa che in poesia, ma il modo in cui riesce ad arrivare a chi lo ascolta con la poesia è molto più forte. Io posso fornire dei suggerimenti, che vanno però soppesati anche sulla base degli obbiettivi che si desidera raggiungere nel percorso del laboratorio, come ad esempio potenziare o meno una determinata abilità, anche se gli esercizi di pura stilistica capitano prima o poi a tutti, generalmente si basano su giochi di lettere o numerici.
E tu? Che rapporto hai con la “tua” prosa e con la “tua” poesia?
Nonostante io venga additata da tutti – spesso con accezione negativa – come “poetessa”, in realtà scrivo quasi esclusivamente prosa. Il rapporto che ho con la poesia ha una matrice molto infantile. Da piccola pensavo che i testi in poesia fossero meno impegnativi e dunque più adatti a me che non avevo esperienza e non mi sentivo pronta per un impegno forte come quello della prosa. Dalle scuole medie ho iniziato a scrivere racconti e poi testi sempre più articolati.
In realtà credo che questa concezione di poesia e di prosa che attualmente abbiamo, sia relegata anche a un aspetto “consumistico” della letteratura stessa, che porta a preferire, in alcuni ambiti di performative acting o reading, il testo sempre più breve e disinteressato. Nella prima fase della mia “carriera” letteraria ho fatto spesso ricorso a figure retoriche, riferimenti classici e parole artificiose, tanto da essere accusata di non essere “vera” nel mio raccontare, perché non arrivavo subito al pubblico o all’ascoltatore. Le mie prime poesie erano fatte per essere lette, non recitate. Proprio per questo motivo ho subito un cambiamento nel momento in cui mi sono avvicinata al mondo dello slam, dove il contatto con il pubblico è fondamentale. Prima vivevo la poesia da salotto letterario, adesso è un mettermi a nudo con un pubblico che vuole quasi sempre sentire quante rime sai fare nel minor tempo possibile.
Se dovessi descrivere il mio rapporto con la scrittura, farei riferimento a una frase di Nitro, tratta dal suo brano Storia di un presunto artista: “Mi manca così tanto quando eravamo solo io e te ed un foglio bianco”. Questo perché percepisco un peso, un’aspettativa su ciò che scrivo, che potrebbe determinare o meno un mio progresso di carriera, mentre prima scrivevo in maniera molto più disinteressata verso le critiche e le aspettative; non scrivevo in proiezione del lettore, ma in proiezione di me stessa: io ero l’unica lettrice di cui mi importasse davvero l’opinione. Adesso, però, non riesco più a vederla allo stesso modo.
L’ambiente dove vivi com’è artisticamente?
Ammetto che su questo punto sono una persona un po’ particolare, nel senso che sono solita vivere in delle “bolle” di realtà, cercando sempre di evitare la polarizzazione di posizioni. Credo che la vita, proprio in quanto difficile sotto certi aspetti, sia da vivere con persone che condividono le nostre stesse opinioni e passioni; molto spesso non abbiamo il potere di cambiare tutte le cose che non ci piacciono o che troviamo ingiuste, proprio per questo motivo provare a cambiare nel piccolo la realtà che ci circonda è un passò fondamentale per vivere bene. Nel senso: magari non posso cambiare i miei colleghi di lavoro, ma posso scegliere di fare un lavoro più o meno incline alle mie passioni, o di avere amici con i quali essere pienamente me stessa.
È un compromesso che ho raggiunto con la vita: se devo sopportare qualcosa, la sopporto, ma cambierò tutto ciò che mi è concesso cambiare al fine di vivere una vita il più possibile conforme ai miei canoni morali. Vivo in questa bolla fatta di Poesie Metropolitane, di Caspar Campania, di Magazine Informare, il giornale per cui scrivo.
A volte però lo scontro con la realtà è quasi brutale, o meglio, non proprio con la realtà, ma con ciò che più in generale è diffuso: un atteggiamento da ignavi, di disinteresse, di disincanto dinnanzi a tutto ciò che è considerato sensibile. In realtà penso che per il contesto in cui sono cresciuta, ovvero Arzano, un paese della provincia nord di Napoli che confina con Secondigliano, ho sempre fatto un grande sforzo a far rientrare queste cose nella mia vita, cioè la lettura, la scrittura, quasi come se non vi appartenessero davvero e io mi ostinassi a farcele rientrare.