Una mappa, antica o moderna che sia, non è solo la rappresentazione di un luogo: è anche la rappresentazione di una cultura, di un intero sistema di pensiero
Le mappe, quelle moderne ma forse ancor più quelle antiche, hanno uno strano fascino. Ci danno una posizione, ci collocano nello spazio e in questo modo ci forniscono, a modo loro, un’identità. Nel caso delle mappe antiche (e quindi spesso “sbagliate”), la sensazione è più quella di una ricerca di quell’identità, del procedere per tentativi in un costante perfezionamento. L’aspetto stesso delle mappe di parla, ci racconta il processo mentale che a quella mappa ha condotto, le credenze dell’epoca che quella mappa hanno generato. Per chi volesse approfondire l’argomento, ecco cinque libri ricchi di suggestioni e immagini affascinanti.
Uno dei saggi più importanti sul tema, e il primo in ordine cronologico fra quelli che andiamo a proporre, è I signori delle mappe. La storia avventurosa dell’invenzione della cartografia di John Noble Wilford (Garzanti, 2018; ed. or. The Mapmakers, Alfred A. Knopf – Penguin Random House, 1981, nuova ed. 2000). È in sostanza un resoconto completo sull’arte della cartografia da coloro che per primi vi si cimentarono, anzitutto per ragioni pratiche e “catastali” (come dimostrano certe mappe dell’Impero Accadico, III millennio a.C.), ai tecnici che oggigiorno permettono di costruire carte geografiche precisissime di ogni parte dalla Terra (e di altri corpi celesti) grazie a satelliti e computer. L’edizione Garzanti è ben curata: copertina rigida con sovraccoperta, quasi 400 pagine di testo e 23 illustrazioni a colori che riproducono mappe di varie epoche e paesi. Anche nei risguardi del volume sono riportate due mappe a colori, entrambe del XVI secolo.
Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo di Simon Garfield (Ponte alle Grazie, 2016; ed. or. On the Map, Profile Books, 2012) è un testo singolare perché non adotta solo un punto di vista da cui guardare al mondo delle mappe, bensì ne adotta diversi. Ai primi capitoli, caratterizzati da un approccio storico, ne seguono altri che, sebbene proseguano l’ordine cronologico, si concentrano in modo brillantemente divulgativo su aspetti particolari della cartografia oppure su episodi storici, più o meno noti, che con la cartografia hanno avuto a che fare: l’esigenza di “mappare” le origini di un’epidemia di colera nel XIX secolo per cercare di fermarla, l’esplorazione del Polo Sud, la nascita delle guide di viaggio. Fra le circa 500 pagine del volume sono disseminate molte illustrazioni in bianco e nero che riproducono carte geografiche, topografiche, tematiche e altre ancora.
Jerry Brotton, nel suo La storia del mondo in dodici mappe (Feltrinelli, 2017; ed. or. A History of the World in Ten Maps, Penguin Books, 2012), opta per un’impostazione molto particolare: sceglie dodici specifiche mappe, realizzate in momenti storici particolarmente importanti, e, nell’illustrare i problemi che i cartografi si trovarono a risolvere (distanze, altitudini, affidabilità), illustra anche come i risultati finali non furono figli solo di considerazioni tecniche e matematiche, ma anche di motivazioni personali, filosofiche, artistiche, religiose, che le mappe hanno poi trasmesso, cristallizzando e diffondendo determinate visioni del mondo. Affascinante l’apparato iconografico (56 illustrazioni a colori più altre 38 in bianco e nero, che intervallano più di 500 pagine di testo), di cui si può vedere qualche esempio sulla pagina dell’editore dedicata al libro.
Sulla una linea simile a quella di Brotton si muove anche Tim Marshall con Le 10 mappe che spiegano il mondo (Garzanti, 2017; ed. or. Prisoners of Geography, Elliott & Thompson, 2015), basato sull’assunto “Non c’è storia senza geografia”. La tesi di Marshall è che ogni decisione dei più importanti personaggi della storia, lontana e vicina, si è in qualche modo dovuta confrontare con le circostanze geografiche; e questo fenomeno, a metà fra la politica e la psicologia, può aprirci gli occhi su tante questioni fondamentali del nostro tempo, ad esempio le divisioni che lacerano il Medio Oriente, la posizione di potere centralizzante assunta dalla Cina, i rapporti sempre più deteriorati fra Russia e Ucraina. Un trattato storico più che cartografico, con alcune mappe distribuite fra le circa 300 pagine (anche questo volume, come l’altro edito da Garzanti, vanta copertina rigida e sovraccoperta).
Chiude la nostra rassegna l’italianissimo saggio Le linee rosse, di Federico Rampini (Mondadori, 2017), che a sua volta prosegue il discorso dei due studiosi precedenti: però, più che le mappe nel loro complesso, prende in considerazione determinate linee che, in epoche diverse, su quelle mappe sono state tracciate. Confini, percorsi, itinerari commerciali, mura difensive, rotte di migrazioni, estensioni dei ghiacciai, linee di forza che ridefiniscono assetti geopolitici e geoeconomici, condizionati in parte da popoli e culture, in parte da fenomeni naturali e climatici. Circa 450 pagine, intervallate ogni tanto da mappe in bianco e nero su cui si stagliano inquietanti linee rosse.