Come si può insegnare oggi la Shoah nelle scuole? La difficile missione degli insegnanti per trasmettere valori così solenni
L’importanza di insegnare la storia, con i suoi corsi e ricorsi, è ancora oggi il modo più autentico per dare valori e fiducia in una nuova generazione. Eppure, con l’avanzamento dei tempi e l’evoluzione della società, appare a volte alienante trasmettere pagine di storia molto lontane da noi. In alcuni casi pagine di storia così tragiche da apparire surreali. E per giovani adolescenti della generazione Z, ora nuova generazione Covid, ascoltare la tragedia della Shoah è un senso di dovere morale. Ma non un approccio così scontato e naturale.
L’impressione è spaventosa: più ci allontaniamo dalla storia, più ci sentiamo distanti da quell’insegnamento. C’è una triste e apparente inutilità dello sforzo dell’insegnante che disarma il sistema scolastico. Ma se è vero che è evoluta la comunicazione – anche nella scuola – allora è necessario che si rivoluzioni anche il modo di insegnare. E di insegnare anche una storia così tragica e necessaria.
Eppure è nella passione del mestiere che si trasmette la missione dell’insegnamento, con la volontà di adattare la scuola a nuovi strumenti. E se insegnare la Shoah nelle scuole sembra essere oggi un’operazione delicata, ci sono riflessioni che incoraggiano. Ma soprattutto ci invitano a soffermarci sul valore dell’insegnamento, sull’umanità della storia e sull’empatia – ora più che mai – che lega ogni storia. A raccontarci cosa vuol dire oggi insegnare l’Olocausto nelle scuole è Patrizia Fazii, docente in Storia, Letteratura e Latino al Liceo statale “Gonzaga” di Chieti.
Insegnare la Shoah nelle scuole: i ragazzi riescono ancora a cogliere il valore di una storia che oggi sembra così lontana da loro?
Durante i primi anni di insegnamento, soprattutto nei bienni della scuola secondaria di secondo grado, la frustrazione dovuta alla mia sensazione di inadeguatezza di fronte ad una tematica tanto importante nella storia dell’Europa si univa all’impotenza che provavo di fronte all’apparente inutilità delle mie lezioni e alla reazione dei ragazzi durante le ore impiegate nelle settimane che precedevano il Giorno della Memoria. Perciò tutto l’entusiasmo che mi aveva animato l’indomani della lettura del saggio di Serge Viderman, Il denaro in psicanalisi, che spiega l’odio antisemita del popolo tedesco con l’invidia sociale verso una minoranza in forte ascesa sociale, svanì presto.
Qualche anno fa, invece, per accompagnare due classi quinte del Tecnico e del Liceo di un Istituto di Istruzione Superiore mi coinvolsero in un “viaggio della Memoria”. Quel viaggio di istruzione, che ovviamente per gli studenti era un viaggio di piacere, cambiò a metà settimana, dopo la visita al campo di concentramento di Dachau. Le reazioni dei ragazzi possono essere disarmanti e tali furono per me: mi tornò la fiducia e da allora affronto in maniera estremamente positiva il momento della progettazione didattica di questo momento.
È forse l’esperienza diretta che insegna più di un ciclo di lezioni teoriche?
L’apatia e l’indifferenza che gli studenti solitamente mostrano nella classica lezione frontale, in occasione della visita a Dachau, svanirono per lasciare il posto al silenzio e alle facce turbate e incredule. Nella parte museale, i documenti di riconoscimento delle vittime ebree ci sconvolsero per l’elevatissima quantità, inimmaginabile. Ci fu un vulcano di domande, mi chiamavano tutti, mi cercavano con lo sguardo facendo ogni tipo di domanda, anche la più banale.
E purtroppo gli studenti realizzarono che l’Olocausto è stato anche una pagina della storia italiana. Le vittime non erano solo polacche o tedesche, le vittime erano anche italiane e tra i carnefici che hanno collaborato alla deportazione e allo sterminio degli ebrei vi erano anche italiani. Non riuscivano a staccare gli occhi dall’elenco dei nomi… era così lungo…
Qual è il punto di forza dell’insegnamento, per tematiche così forti?
L’accesso diretto alle testimonianze toccò le loro corde più profonde: l’approccio emotivo è un punto di forza dell’insegnamento, sia in Storia che in Letteratura, perché riesce a catturare le corde più profonde. Tuttavia, il viaggio nei luoghi della Shoah non può sostituire il lavoro a scuola, che serve per costruire le conoscenze storiche. Questa modalità parte dalla “soluzione finale” e non analizza il processo politico e culturale che sta alle spalle della Shoah. Le immagini e la visita dei luoghi dovrebbero collocarsi successivamente rispetto allo studio delle dinamiche storiche, politiche e culturali, che portarono a quei fatti. Solo lo studio della storia può restituire le singole responsabilità.
Partiamo dal presupposto che lo studente medio sa poco e conosce l’Olocausto limitatamente ai giudizi di pazzia su Hitler, al nome Auschwitz, e al fatto che i nazisti cattivi si scagliarono contro gli ebrei. Sicuramente non esiste una metodologia più corretta delle altre. Ciò che è sicuro è che lo sviluppo pedagogico dell’approccio all’insegnamento dell’Olocauso si è modificato dai tempi in cui ho frequentato io il Liceo.
Oggi è cambiato l’approccio che si ha con questa pagina di storia?
Oggi avverto una sorta di forzatura, una cosa fatta per “dovere di commemorazione”. L’amplificazione mediatica è evidente nel presenzialismo sui social network, luogo in cui ci si allinea alla massa, postando riflessioni, immagini e articoli, pur di non far passare inosservata la propria conoscenza di questa data. In tal modo si rischia però di avere solo conoscenze sintetiche, e servirsi di immagini ripetitive. Il dovere di memoria sembra imposto anche alla scuola, che più che ricordare, dovrebbe insegnare la Storia.
Come sostengono molti pedagogisti, memoria non è storia: se è vero che sono legate l’una all’altra, non possiamo non considerare che la memoria non è la registrazione di tutto il passato, ma solo di ciò che ha una relazione col presente. La storia, invece, insegna a comprendere un fenomeno e interpretarlo, attraverso l’uso delle fonti, attribuisce responsabilità ai singoli uomini, ai governi e alla politica.
E qual è l’impegno e il compito che deve avere un insegnante nei riguardi della storia?
Il nostro impegno di educatori deve sicuramente proporre lo studio nella maniera più adeguata all’età degli studenti e alla loro con il supporto di tutte le discipline. Mi impegno a costruire delle competenze di cittadinanza, per favorire l’educazione al rispetto, alla convivenza civile e alla cittadinanza attiva, anche attraverso lo studio della storia, in un mondo sconvolto da atrocità e Terrorismo.
La conoscenza dei fatti può dare risposte. La Shoah, infatti, non deve essere studiata in modo semplicistico: affinché lo studio della storia – non solo nazionale ma anche europea -lasci un segno tangibile in termini di comportamenti civili negli studenti, deve fare riferimento al presente, per riconoscere e combattere le nuove manifestazioni di discriminazione e razzismo. Le scelte didattiche sono molteplici e vanno adeguate alle fasce d’età. L’insegnamento sfrutta le nuove tecnologie, che sicuramente sono un valido supporto nella ricerca di immagini, testi, bibliografie…Gli studenti dovranno essere i protagonisti di queste ricerche e sfruttarle in una discussione-dibattito in classe, che sviluppa il pensiero critico dei giovani.
Rossella Papa