È da poco uscito il volume “Chanel N°5. Il profumo del secolo” che, attraverso una scorrevole narrazione accompagnata da accattivanti immagini d’epoca, ci racconta la genesi, la diffusione e il successo di questo incomparabile profumo che da più di un secolo è un’icona di stile ed eleganza.
L’autrice è la storica dell’arte milanese Chiara Pasqualetti Johnson, che scrive per le maggiori testate italiane a proposito di viaggi, arte e lifestyle. Chiara ha inoltre pubblicato con Edizioni White Star, nel 2018, il volume illustrato “Ritratti di grandi donne del nostro tempo” e, nel 2020, la biografia illustrata “Coco Chanel. La rivoluzione dello stile”.
Le abbiamo fatto alcune domande a proposito del suo ultimo interessante libro.
N.5 nasce quando Coco Chanel chiede al profumiere francese Ernest Beaux di creare una fragranza che potesse rappresentare la sua casa di moda, che all’epoca viveva il suo periodo di massimo successo. Come mai questo profumo viene chiamato proprio in questo modo e qual è l’importanza del numero cinque per Coco Chanel?
Per lei i numeri non erano soltanto cifre, ma veri e propri talismani. Nell’antica abbazia cistercense dell’orfanotrofio di Aubazine, dove trascorse la sua adolescenza, Coco era rimasta affascinata dal misticismo occulto nascosto nelle decorazioni. I fiori composti da cinque petali, per esempio, o le stelle a cinque punte scolpite nella pietra accendevano la sua immaginazione.
Molti anni dopo, disseminò di simboli il suo appartamento in rue Cambon, dove il numero 5 ricorre nei luoghi più impensabili, persino tra le gocce di cristallo del lampadario. Per lei rappresentava qualcosa di così speciale da sceglierlo scaramanticamente anche come data per le sfilate, quasi sempre fissate il 5 febbraio e il 5 agosto. Così, quando Ernest Beaux mise a punto per lei diverse miscele, numerate da 1 a 24, Coco non ebbe dubbi e puntò tutto sul numero 5.
Chanel N. 5 è un profumo floreale ed evocativo, ma anche un’essenza ricca di contraddizioni con note seducenti e pure allo stesso tempo. Come descriveresti questo profumo a qualcuno che non lo ha mai assaporato?
Userei le parole di Coco Chanel: “Un profumo da donna, che sa di donna”. Odora di pulito, ma allo stesso tempo nasconde qualcosa di provocante e voluttuoso. Per ottenere quel risultato, Coco rivoluzionò il mondo della profumeria. In un’epoca in cui le fragranze erano monofloreali, o mescolavano al massimo un paio di essenze, la formula magica di Chanel N°5 combinava audacemente un’ottantina di ingredienti.
Le materie prime principali sono il gelsomino, la rosa e l’ylang ylang. Ma la vera particolarità del profumo è data dall’aggiunta delle aldeidi, che danno alla fragranza un tocco misterioso, irriconoscibile. Quell’elemento artificiale, che all’epoca era un’assoluta novità, regala a chi annusa Chanel N°5 la piacevole sensazione che nei sensi irrompano migliaia di bollicine di champagne o una scintilla di elettricità.
Da dove ha avuto origine la scelta di un flacone e di un astuccio dalle linee così essenziali rispetto alle elaborate confezioni dei profumi dell’epoca? A che cosa si è ispirata Coco Chanel?
Esattamente come faceva nella moda, Coco andò controcorrente. Per il suo rivoluzionario profumo, così ricco e complesso, volle per contrasto un flacone di una semplicità assoluta. Un parallelepipedo trasparente dalle linee squadrate, simile a una bottiglia da farmacia. Era certamente una scelta in perfetta sintonia con il gusto rigoroso di Chanel, ma nasconde molto altro.
Coco venne influenzata dalle idee dei grandi artisti che frequentava abitualmente in quegli anni, come Picasso. Ecco perché quel flacone così iconico ricorda un’opera d’arte moderna, quasi astratta. Lo stesso rigore si ritrova nella scatola che lo contiene e persino nell’etichetta, un rettangolo bianco con il nome del profumo scritto in un austero carattere nero senza grazie, simile a quelli usati nelle opere grafiche d’avanguardia dei dadaisti e dei cubisti.
Questo profumo, oltre che alla moda, è stato legato anche al mondo dell’arte e della cultura. Quali sono gli autori che più hanno contribuito al consolidarsi dell’aspetto iconico di questa fragranza?
In effetti, quando si pensa a Chanel N°5, la prima immagine che viene in mente non è quella di una scia odorosa, ma della bottiglia che la contiene. Pochi saprebbero identificare con certezza la fragranza senza avere sotto gli occhi quel flacone trasparente con le due C intrecciate sulla base del tappo. Oggi è considerato un pezzo di storia del design, tanto che è stato esposto anche nelle sale del MoMA, il Museum of Modern Art di New York.
A distanza di un secolo sembra ancora modernissimo, ma in realtà divenne iconico fin da subito, tanto che già nel 1938 veniva celebrato da Salvador Dalí. Quell’anno era ospite di Coco nella sua villa in Costa Azzurra e creò un’opera intitolata “The Essence of Dalí”. Raffigura gli inconfondibili baffi dell’artista, tracciati su una bottiglia con una silhouette che imita il profilo rettangolare di Chanel N°5. Ancora più celebri sono le serigrafie di Andy Warhol che rielabora il flacone in chiave pop art nella serie intitolata “Ads: Chanel”. Una celebrazione definitiva, che lo mette sullo stesso piano degli altri miti celebrati in quelle serie, come Jackie Kennedy o “L’Ultima Cena” di Leonardo.
Perché questo profumo è stato rivoluzionario per l’epoca in cui è stato creato e come mai il suo successo si è perpetuato così a lungo?
Quando uscì, nel 1921, non assomigliava a nessun’altra fragranza sentita prima. Era esattamente ciò che Coco desiderava: un profumo che avrebbe definitivamente confuso la linea di demarcazione tra le essenze adatte a una ragazza per bene e quelle riservate alle seduttrici. Non bisogna dimenticare che a quei tempi la rispettabilità di una donna era inesorabilmente segnata da una scia di profumo. Certi aromi, come il muschio o il patchouli, davano alle signore che li usavano una sensualità che solo un’attrice o una cortigiana avrebbe osato portare con disinvoltura.
Chanel N°5 nasce da un perfetto connubio di contrasti che mescola essenze all’epoca considerate inconciliabili, per dimostrare al mondo che una donna può essere seducente e pura allo stesso tempo. Un’idea incarnata alla perfezione dalla miglior testimonial che Chanel potesse desiderare: Marilyn Monroe. Quando rivelò alla stampa che a letto indossava “soltanto due gocce di Chanel N°5” trasformò in leggenda quello che già allora era il profumo più famoso del mondo. Nel tempo, la sua notorietà non ha fatto che crescere, tanto che tra gli addetti ai lavori viene affettuosamente soprannominato “Le Monstre” (il mostro) per il suo successo apparentemente inesauribile.
Quanto sono state importanti le furbesche trovate pubblicitarie escogitate dalla stessa Coco Chanel per la diffusione di questo profumo?
Più che trovate furbesche, io le definirei delle geniali intuizioni, copiate ancora oggi dagli strateghi del marketing. La prima fu quella di rendere Chanel N°5 un oggetto del desiderio ancora prima che venisse messo in vendita. Coco lo regalò alle sue amiche più chic, contando su quel passaparola che si rivelò un potentissimo canale di promozione. Quando le signore tornavano nel suo negozio per chiedere altre bottigliette della meravigliosa fragranza, Chanel rispondeva con finto stupore che non aveva mai pensato di metterla in vendita e che si trattava soltanto di un souvenir, alimentando l’equazione infallibile tra desiderio e disponibilità. Nel momento stesso in cui venne finalmente esposto in vetrina, andò immediatamente a ruba. Altrettanto lungimirante fu la scelta iniziale di metterlo in vendita unicamente sugli scaffali delle boutique Chanel, dove veniva spruzzato a profusione avvolgendo in una nuvola odorosa gli abiti. In questo modo Chanel attirava una nuova clientela e rendeva indissolubile il legame tra la fragranza e il marchio. Un’idea copiata da decine di brand, ancora oggi.
Cosa hanno in comune le molteplici testimonial che hanno prestato la loro immagine nelle campagne promozionali lanciate dalla Maison Chanel nel corso degli anni? Esiste un ideale femminile comune e, se sì, quali sono le sue caratteristiche?
Penso che l’ideale a cui si ispirano sia proprio Coco Chanel. Non a caso, fu lei la prima testimonial del suo profumo. L’immagine venne pubblicata su Harper’s Bazaar nel 1937, con Mademoiselle fotografata nella suite dell’Hotel Ritz a Parigi in un favoloso abito nero, nel più puro stile Chanel. Da allora in poi, la scommessa della maison è sempre stata quella di trovare donne dalla grande personalità, femminili ma allo stesso tempo moderne, sicure di sé e con uno stile inconfondibile.
La scelta delle testimonial è caduta su star bellissime e con una classe innata, rese ancora più affascinanti dai grandi fotografi chiamati a ritrarle. Trovo inarrivabile Catherine Deneuve nelle campagne fotografiche dirette da Helmut Newton negli anni 70, mentre tra le campagne più recenti ho ammirato Audrey Tautou, la protagonista di Il favoloso mondo di Amélie, che ha interpretato anche il ruolo di Mademoiselle nel film Coco avant Chanel. Anche se il vero colpo di scena è avvenuto nel 2012, quando la maison ha sorpreso tutti coinvolgendo l’attore Brad Pitt, il primo uomo testimonial del profumo femminile per eccellenza.
Qual è stata la scoperta più inaspettata che ha fatto durante le ricerche che hanno preceduto la scrittura di questo libro?
Le ricerche erano cominciate mentre scrivevo la biografia uscita lo scorso dicembre, Coco Chanel. La rivoluzione dello stile. Sul suo leggendario profumo avevo trovato così tante storie che avevo subito immaginato di dovergli dedicare un libro tutto suo. Tra tante, credo che la più inaspettata sia stata la scoperta del valore che aveva Chanel N°5 durante la Seconda Guerra mondiale. Poco prima dello scoppio del conflitto, Chanel aveva deciso di chiudere la sua attività, lasciando aperta un’unica vetrina, quella dedicata ai profumi. Come sempre, la sua fu una scelta lungimirante. Quel flacone divenne un oggetto così riconoscibile da trasformarsi in merce di scambio durante la guerra. Circolava senza sosta anche sul mercato nero, scambiato in tutta Europa come valuta al pari dell’oro, del whiskey e delle sigarette. Era un simbolo, un oggetto del desiderio.
Ecco perché a decretare il suo successo negli Stati Uniti non furono i giornali di moda, ma i soldati americani. Arrivati a Parigi a migliaia nel 1944 durante la Liberazione, facevano la fila davanti al negozio Chanel per assicurarsi un souvenir da portare alle fidanzate. Non parlavano una parola di francese, ma bastava alzare la mano e mostrare cinque dita per averlo. Ieri come oggi, nulla al mondo è chic come Parigi, e niente incarna l’anima della città quanto una boccetta del favoloso N°5.
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Clara Zennaro