Sono trascorsi diversi anni dalle vicende di Avatar. Jake, il marine trasformato in alieno Na’vi passa da infiltrato per conto degli umani a leader della rivolta degli umanoidi blu, con il tempo è diventato un padre amorevole e apprensivo. Ma il passato sta per tornare, più pericoloso che mai, e in gioco c’è l’esistenza della sua nuova famiglia.
Avatar 2, una sfida Cameron contro Cameron
Il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista. Queste parole appartengono a Caparezza, un musicista, ma il loro respiro abbraccia tutte le forme d’arte, cinema compreso. Un sequel come Avatar – la via dell’acqua nasce infatti nel segno del confronto pesantissimo con il primo capitolo della saga di James Cameron, un kolossal di proporzioni gigantesche che ha impattato sul mercato con un successo devastante.
Una sfida scomoda, difficilissima considerando che il film non può più contare sul fattore meraviglia: sul piano visivo Avatar staccava la produzione dell’epoca di diverse lunghezze, si trovava su un livello superiore che ha lasciato di sasso il pubblico di tutto il mondo.
Oggi la situazione è diversa in quanto il pubblico sa cos’aspettarsi, per non parlare dell’evoluzione del cinema stesso per cui il livello medio della potenza visiva dei blockbuster si è alzato, in particolar modo dall’affermazione dell’universo cinematografico Marvel che ne sforna una quantità elevatissima ogni anno.
Che fare, quindi? Il cinema hollywoodiano non è certo un campo da gioco su cui si vince con l’astuzia e la finezza, quindi Cameron ha intrapreso l’unica via sensata per uscire bene da questa ardua sfida con se stesso: ha caricato a testa bassa. Senza risparmiarsi in niente.
Avatar – la via dell’acqua è un film definibile come enorme, nel senso che è proprio ampio, sovradimensionato in ogni suo aspetto
Ciò che fin da subito colpisce con la forza di un maglio è, naturalmente, il comparto visivo. Da questo punto di vista il lavoro di Cameron e del suo staff è semplicemente grandioso.
Alla foresta del primo capitolo si aggiunge il mare con le sue scogliere, le sue distese d’acqua che si aprono a perdita d’occhio e i suoi villaggi sospesi nella costruzione di un mondo ampio e particolareggiato, progettato con il piede premuto a tavoletta sull’acceleratore della meraviglia.
La natura del pianeta Pandora è selvaggia, incontaminata ma soprattutto ricca di quel senso della profondità che suscita la sensazione quasi fisica della terza dimensione. Nonostante l’uso smodato degli effetti digitali la consistenza degli ambienti è quasi palpabile e crea quell’effetto immersivo con cui più di ogni altra cosa il seguito di Avatar centra il suo principale obiettivo, che è investire lo spettatore con uno tsunami di sense of wonder.
Meraviglia, stupore, ma non è tutto qui.
La scrittura del film è solida. Avatar – la via dell’acqua è una vicenda corale in cui un numero sterminato di personaggi orchestrati di modo da lasciare a ognuno lo spazio di cui ha bisogno per esprimersi nella misura funzionale allo svolgersi della trama senza tralasciare l’approfondimento.
L’arco di trasformazione dei singoli personaggi è poi gestito con intelligenza, dando per scontato ciò che va dato per scontato, tra i due capitoli della saga sono passati anni di tempo narrativo ed è corretto che qualche protagonista adulto sia già cresciuto nel frattempo, e non c’è niente di male se lascia a personaggi tutti nuovi lo spazio per crescere.
Il ritmo, dal canto suo, rimane bello tirato per quasi tutto il film anche se qui qualche problema si comincia a vedere. Certo, in un film così vasto, così pieno di personaggi e di dinamiche non di secondo piano, è forse fisiologico che verso il finale si vada un po’ in accumulo ma qui le vicende sembrano incastrarsi in un collo di bottiglia che intasa davvero troppo gli ultimi minuti della narrazione e che, tutto sommato, poteva essere amministrato con maggior fluidità pur non compromettendo la godibilità di una narrazione che rimane a livelli stellari con alcuni passaggi che possiamo definire epici senza timore di esagerare.
Ma non è questo, il vero problema.
Ciò che rischia di infastidire lo spettatore è la retorica. Tirata. Reiterata. Sbattuta in faccia a più riprese.
Il discorso portato avanti intorno alla famiglia che resta unita, molto edificante anche senza ripeterlo ossessivamente nel timore che qualcuno possa non accorgersene, anche senza sconfinare nel didascalico. E invece no. I personaggi continuano a ribadire il messaggio positivo ogni volta che aprono bocca, ogni volta che potrebbero non farlo, pure quando se le stanno dando di santa ragione.
Ecco, il grande difetto di Avatar – la via dell’acqua è che la comunicazione del sottotesto, di per sé evidente già nello svolgersi della trama, è pedante. E si risparmia solo dove non dovrebbe, nella sottotrama che interessa il villain del film, l’unica che rimane un pelo in sottotraccia. Ecco, un pelo troppo in sottotraccia. Magari andava sviluppata meglio, meno tirata via.
Come esce James Cameron da questo titanico confronto con se stesso?
Bene, nonostante tutto. Perché l’eccesso di retorica non fa deragliare il film e comunque non è niente di così strano in un’opera che non nasconde mai, nemmeno per un secondo, la propria vocazione sfacciatamente mainstream. D’altronde, come mai potrebbe?
Avatar – la via dell’acqua è un colosso. Un grande film, in tutti i sensi, sia nei difetti sia nei pregi, nel male e nel bene.
Stefano Tevini
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