In un futuro non troppo lontano l’intero pianeta è sconvolto dai cambiamenti climatici. Soltanto poche città d’arte sono state preservate all’interno di cupole trasparenti, in cui la vita prosegue come un tempo. Si tratta del Mondo Sigillato. Un’Immensa Muraglia di quattromila chilometri di cemento armato e acciaio divide il globo terrestre. A nord della barriera vive una civiltà evoluta tecnologicamente e non violenta, mentre il sud è abitato da animali mutanti e da criminali esiliati, in quello che è chiamato il Mondo Impossibile. La gente è costretta a vivere nel sottosuolo, perché temperature torride e violenti uragani non permettono la vita in superficie, se non durante un breve periodo in cui il clima diventa meno aggressivo.
In uno di questi momenti dell’anno, una donna misteriosa organizza a Tunisi il rapimento del protagonista, il veneziano di origine giapponese Amore Abe, un tranquillo e metodico traduttore di lingue orientali, esperto di arti marziali. Abe viene presto liberato, ma si troverà coinvolto nella ricerca dei banditi informatici che stanno minando la sicurezza del Mondo Sigillato e incontrerà i mitici ipersoldati, che, spostandosi su tavole volanti, lavorano per proteggere ciò che resta del vecchio mondo.
Si tratta di Acqua di Pietra, l’ultimo romanzo di Franco Alesci. L’autore, nato a Venezia, vive a Mogliano Veneto. Laureato in ingegneria elettronica ora esercita la professione d’insegnante. Ha viaggiato molto e, fin dall’adolescenza, ha coltivato la passione per la scrittura e la letteratura. La sua prima pubblicazione risale al 1992: è la raccolta di racconti L’Oasi delle ambiguità, che riceve il premio Carrara – Halstahhamer nel 1993. Seguono i romanzi, pubblicati sia da case editrici indipendenti che auto pubblicati con Amazon: Floating, Concerto per Venere, Come vento in testa, Storie noir veneziane, Il gioco delle vertigini e Akua, una raccolta di racconti ambientati a Venezia.
Abbiamo fatto alcune domande a Franco per saperne di più del suo ultimo lavoro.

Franco, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
Acqua di pietra iniziò a prendere forma dentro di me dopo l’uragano che si abbatté sulle Dolomiti nel novembre 2018. Rimasi molto colpito dagli effetti di quell’evento meteorologico: i venti raggiunsero i 180 chilometri orari, come in mare aperto, ci furono esondazioni, frane, ponti crollati, black-out elettrici e intere valli rimasero isolate. Il vento sradicò abeti secolari e li sbatté a terra come birilli, le piante – milioni di metri cubi di legname – precipitarono al tappeto come pugili suonati, creando una distesa sconfinata di tronchi, alla mercé dei batteri.
Ricordo che andò giù la foresta di Paneveggio, conosciuta col nome di “foresta dei violini”; crollarono gli abeti rossi di risonanza, materia prima dei maestri liutai dove, alcuni secoli fa, si aggirava Antonio Stradivari da Cremona alla ricerca dei magici legni con cui componeva le casse armoniche per i violini. In quei boschi egli studiava gli alberi dalle radici alle cime: li annusava, li batteva, li accarezzava, verificava attentamente sul suo quaderno lo stato della fase lunare, perché quegli abeti dovevano essere tagliati solo durante la Luna calante, tra ottobre e novembre, quando nel tronco c’è minor quantità di linfa. Quel disastro mi colpì molto: se la natura aveva scatenato una tromba d’aria in montagna, significava che non seguiva più le regole climatiche e confermava il nuovo caos meteorologico.
Amore Abe è un uomo complesso e interessante: ti sei ispirato a qualche figura in particolare per dare vita a questo personaggio?
La figura di Amore Abe è nata man mano che scrivevo e confesso che, come sempre quando inizio un nuovo romanzo, non avevo nessuna idea precisa sui personaggi che poi si sono formati. Intendevo soltanto raccontare delle storie ambientate in un pianeta in balia delle tempeste.
Non organizzo un testo prima di scriverlo e non preparo un palinsesto: anche questa volta la stesura è stata estemporanea. La storia è cresciuta liberamente e ha assunto una forma lineare verso la fine del lavoro, quando si è stabilito un ordine degli eventi e sono emerse le connessioni tra i vari personaggi. A questo punto ogni tessera del mosaico ha trovato la sua collocazione e il “brain storming” iniziale è diventato un thriller di azione e avventura definito.
Dalle pagine ha preso forma la figura poliedrica di Amore, uno dei principali protagonisti, un poliglotta veneziano che parla giapponese, cinese mandarino, arabo e inglese. Da veneziano verace, durante il periodo di quiete meteorologica dei Tre mesi della libertà aerea, naviga per la laguna completamente mutata, dove il livello dell’acqua a causa degli sconvolgimenti climatici si è alzato di alcuni metri. In un ambiente caratterizzato dalla presenza di nuove specie animali tra cui foche e delfini, che creano un’atmosfera molto diversa da quello attuale, che un poco inquieta. Del resto già oggi, da qualche tempo, sono stanziali nella laguna veneziana numerose colonie di fenicotteri rosa e ibis sacri del Nilo, entrambi uccelli esotici.
Inoltre, mi è piaciuto far emergere la vena guerriera di Amore, educato dal padre nella prima parte della sua vita alle arti marziali, con ascendenti da samurai che lo trasformano in un combattente temerario.

Pensi che l’aver viaggiato molto abbia influenzato in qualche modo la scrittura di questa storia?
Sì, nel senso che viaggiando mi sono appassionato all’Estremo Oriente, in particolare al Giappone e alla sua cultura plurimillenaria: un paese tecnologicamente avanzato ma che non ha rinunciato alle sue tradizioni e ha saputo mantenerle vive ancora oggi. Mi è piaciuta l’idea di portare un pezzetto di questo paese così particolare a Venezia con la storia famigliare del protagonista: un mix molto particolare tra le anime di due paesi collocati su due punti opposti del pianeta. In fondo il Giappone, fatto da migliaia di isole molte delle quali collegate tra di loro da ponti e tunnel sotterranei, in grande, ha delle similitudini con Venezia.
E molto mi hanno affascinato e quasi stordito i deserti del Sinai e del Sahara nel Nord Africa, la Valle della Morte nel Nevada o le distese spettrali degli Joshua Tree nel sud est californiano. Improvvisamente tutte quelle atmosfere sono ritornate prepotentemente dentro di me, le ho rivissute e portate in questo testo. I cambiamenti climatici sono, purtroppo, un tema di grande attualità.
Il surriscaldamento del pianeta provocato dall’uomo ci sta portando verso conseguenze irreparabili. Credi che la situazione da te raccontata sia verosimile a ciò che potrebbe accadere davvero?
Ho immaginato il nostro pianeta tra sessant’anni, secondo uno scenario fantastico, senza nessuna presunzione previsionale: non ho mai inteso stimare “il futuro che sarà”. Il fine di questo testo è intrattenere e, forse, indurre a qualche riflessione. La temperatura del nostro pianeta sta costantemente crescendo, lo dicono inclementi i numeri, e sempre più spesso le tempeste avvengono in maniera anomala rispetto alle regole meteorologiche seguite fino a oggi.
Forse queste mutazioni hanno luogo a causa dell’inquinamento umano ma non si può escludere che sia l’inizio di una nuova fase climatica, che potrebbe proseguire indipendentemente dalle politiche verdi che intraprenderemo, e temo che questo nessuno possa escluderlo con certezza, anche se un deciso calo di tutte le produzioni e comportamenti inquinanti è auspicabile.

Gli eventi catastrofici ipotizzati nel tuo libro rispecchiano in qualche modo le tue preoccupazioni per il futuro?
Sono abbastanza preoccupato a livello globale, e ancora di più per il futuro di Venezia: mi chiedo spesso di quanto salirà l’acqua nei prossimi decenni, quanti abitanti rimarranno e se sarà di qualche utilità il MOSE che mi sembra un’opera idraulica già obsoleta. Perciò ho immaginato Venezia, come qualche altra città d’arte, racchiusa in una cupola geodetica trasparente, come un vascello dentro una bottiglia di vetro, e ho voluto evidenziare la sua fragilità.
Per natura sono ottimista e osservo che il genere umano ha uno spirito di adattabilità inesauribile insieme a una grande capacità di trovare nuove soluzioni. Ci siamo adattati al Covid; oggi abbiamo comportamenti che soltanto tre anni fa erano inimmaginabili, e lentamente ne usciremo. Voglio pensare che per la sfida climatica sarà lo stesso.
Clara Zennaro
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