È da pochi giorni in libreria A New York con Patti Smith, la sciamana del Chelsea Hotel, di Laura Pezzino – Giulio Perrone Editore. Si tratta di una geo-biografia che offre un’inedita visione della cantautrice, poetessa, artista performer Patti Smith attraverso una e vera e propria esplorazione letteraria dei luoghi che hanno fatto da palcoscenico alle tappe più importanti della sua formazione e della sua carriera.
In molti hanno scritto a proposito della vita di questo personaggio iconico e rivoluzionario. La stessa Patti Smith è autrice, tra gli altri, del famoso testo autobiografico Just Kids, che racconta i dettagli del suo sodalizio artistico e sentimentale con il fotografo Robert Mapplethorpe.
A New York con Patti Smith, però, assomiglia poco ad una biografia tradizionale. La narrazione di Laura Pezzino non è costruita soltanto sul susseguirsi cronologico degli eventi, ma si focalizza sulle storie e le emozioni suscitate dai luoghi.

Questo viaggio letterario ci porta fin da subito indietro nel tempo, in una città trepidante, che si trova nel bel mezzo di una rivoluzione culturale e musicale. Fin dalle prime pagine, Central Park, Brooklyn, il Chelsea Hotel, il CBGB, Coney Island, ci riappaiono nella loro affascinante veste di un tempo. Le strade di New York tornano ad essere popolate da quella generazione che negli anni ’70 ha saputo reinventare il rock, dare vita al punk e creare nuove contaminazioni tra il jazz e il funk.
Il volume fa parte dell’interessante collana di Giulio Perrone Editore Passaggi di Dogana, ideata nel 2012 con l’obiettivo di creare delle guide letterarie in cui le città vengono raccontate sviscerando il vissuto di artisti, autori e attori, attraverso una narrativa di viaggio brillante e alternativa.
Laura Pezzino vive a Milano dove esercita la professione di giornalista. È stata a lungo book editor del settimanale Vanity Fair. È ora giornalista free lance e collabora con testate come La Stampa, F, GQ, AD, Rivista Studio e Natural Style. Si occupa di editing, social media management e consulenza editoriale. Tiene lezioni e organizza incontri di cultura e poesia.
Le abbiamo fatto qualche domanda per saperne di più sul suo interessante libro.

Laura, ci racconti come è nata la tua grande passione per Patti Smith?
È nata durante le vacanze natalizie del 2014, quando mi sono decisa a leggere un libro che mi chiamava da un po’ di tempo, “Just Kids”, il memoir che Patti Smith aveva dedicato ai primi anni della sua vita a New York e all’amore per l’artista Robert Mapplethorpe. Fu un vero e proprio riconoscimento.
Nonostante i nostri percorsi esperienziali fossero così indiscutibilmente lontani – la mia è stata, ed è, una vita che non potrei mai definire “punk” -, ho subito riconosciuto alcuni punti in comune: i libri, la devozione al lavoro e il concetto di libertà. Anche io sono stata una bambina immersa nei libri, che sono rimasti una guida insostituibile fino a diventare materia privilegiata del mio lavoro come giornalista e, ora, anche di scrittrice.
La devozione che Patti nutre per il suo lavoro, ossia l’arte, è qualcosa che sento anche io, fortissima. Per quanto riguarda la libertà, ho una mia, personale, chiave di lettura: per me ha il significato di adesione a quella che qualcuno ha chiamato la “strada del cuore”, quello slancio interiore, e io credo, in definitiva, innato, verso un percorso che ci assomigli e porti alla realizzazione delle persone che siamo. Leggendola e seguendola da tanti anni, credo che per Patti il concetto di “libertà” potrebbe avvicinarsi a quello che ho appena formulato.
Ciascuno dei capitoli inizia con la descrizione di una fotografia che ritrae l’artista o un immagine da lei scattata. Quali soni i motivi di questa scelta?
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, mi sono rammaricata che la collana Passaggi di Dogana non prevedesse, nel suo impianto originario, anche la presenta di un apparato iconografico che, soprattutto per un personaggio come Smith, avrebbe potuto essere di grande potenza.
Poi ho pensato: perché non descrivere io, nel modo più oggettivo e asettico possibile, quelle stesse foto che non possiamo pubblicare? Ho potuto farlo perché si tratta di immagini molto forti, diventate riconoscibili ed entrate nel nostro immaginario comune.
In itinere mi sono accorta che erano anche foto che, ispezionate da vicino, raccontavano molto e andavano ad aggiungere pezzetti di informazioni indispensabili al ritratto più ampio che stavo componendo su questa grande artista.

Questo libro contiene anche una raccolta di tue memorie e impressioni relative ai luoghi che nel corso degli anni hai visitato. Che cosa hai provato nel correlare queste personali esperienze di viaggio al vissuto della Smith?
Ho due riflessioni da fare in proposito. La prima è che questo modo di miscelare elementi personali e non personali è non solo il “modo” che preferisco quando vesto i panni di lettrice – ossia per la maggior parte del tempo -, ma anche quando indosso quelli, nuovi di zecca, di scrittrice. Non è un caso che tra le mie autrici e i miei autori di riferimento degli ultimi anni ci siano nomi come Olivia Laing, Rachel Cusk, Maggie Nelson, Claudia Durastanti, Rebecca Solnit, Nathalie Léger, Joan Didion, ma anche Sinéad Gleeson, Jenny Offill, Ben Lerner, Sara Baume e Robert MacFarlane, solo per citarne alcuni.
La seconda riflessione è che per le parti personali ho dovuto, per forza, attingere a un substrato differente, più fragile e incerto rispetto ai dati che stavo raccogliendo per il resto del libro. Questa fase di scavo mi ha richiesto molto lavoro – inteso nel senso etimologico del labor, con tutte le sfumature di fatica e volontà di ottenere qualcosa – e il lavoro ci porta sempre in luoghi che non avremmo previsto né immaginato. Sono tuttora molto grata di averlo fatto, e non vedo l’ora di continuarlo.
La letteratura e i libri hanno sempre avuto un peso importante nella vita di Patti Smith. Tu stessa la definisci una bibliofila appassionata. Vuoi dirci di più su questo aspetto della sua vita?
È stata sua madre Beverly a trasmetterle l’amore per la lettura, tanto che da piccolina dormiva con i libri dei grandi sotto il cuscino per poterli assorbire durante la notte. Da ragazza poi questa sua passione si è, giustamente, specializzata e ha preso la via dei poeti, la “fratellanza della bohème”, Rimbaud, Baudelaire, Blake. E poi, in ordine sparsissimo, sono venuti Genet, Bolaño, Murakami, Krasznahorkai, e molti altri.
Il suo è stato un amore duplice: per gli autori, che andarono a comporre il suo personalissimo pantheon, e per l’oggetto libro in sé, tanto che i primi lavori che cercò furono proprio nelle librerie che, tra i Sessanta e i Settanta, erano più attive a New York: Brentano’s, Strand, Scribner, Argosy. Tutte quante sono state per lei delle occasioni importanti, sia di sostentamento economico che di approfondimento e conoscenza.

Questo libro parla in gran parte del periodo di formazione di Patti Smith. Dalle sue prime pubblicazioni come poetessa al suo esordio come cantante, una figura la accompagna durante le tappe della sua carriera. Si tratta di Robert Mapplethorpe, con cui l’artista avrà una relazione che si trasformerà con il passare del tempo. Vuoi parlarci di questo rapporto così particolare?
Robert e Patti erano due anime gemelle, se si crede all’esistenza di qualcosa di simile. Loro erano due romantici e quindi ci credevano.
Si erano conosciuti giovanissimi, 20 e 21 anni, sbarcati in una città piena di fermento, correnti e problemi, lontani da casa e diretti verso quello che sarebbero diventati. Furono amanti, ma soprattutto, l’uno per l’altra, furono una sorta di specchio migliorativo, che esaltava solo il bello permettendo così alle scintille di appiccare il fuoco. Furono, l’uno per l’altra, un indispensabile catalizzatore.
Qual è la cosa più inaspettata che hai scoperto durante le ricerche che hanno preceduto la stesura di questo libro?
È qualcosa che racconto anche nel libro. Avere scoperto che uno dei posti che mi aveva accolto e dato sicurezza in un periodo particolarmente difficile nella mia vita, ovvero un negozio Sephora sulla 5th Avenue, molti anni prima aveva ospitato la libreria nella quale Patti aveva lavorato più a lungo, Scribner, mi aveva lasciata senza parole.
Poi ovviamente ho dovuto trovarle, e mentre ne scrivevo mi sono sentita emozionata come una bambina al risveglio la mattina di Natale. E mi sono anche data una spiegazione, un po’ da pensiero magico, sul perché allora mi fossi sentita così bene in un luogo che obiettivamente non aveva particolari attrattive.
Clara Zennaro
Se ti è piaciuta questa intervista e vuoi saperne di più sulla collana Passaggi di Dogana di Giulio Perrone Editore, leggi l’articolo Giulio Perrone Editore: la casa editrice che racconta anche i luoghi letterari