Ha recitato, scritto, diretto, vinto premi, raccontato personaggi di età ed esperienze molto diverse fra loro. Reduce dal successo di Vivere, Francesca Archibugi uscirà presto di nuovo al cinema con la trasposizione cinematografica del Colibrì, il romanzo di Sandro Veronesi vincitore del Premio Strega 2020.
Un molteplice punto di vista
Prima di dedicarsi a regia e sceneggiatura, Francesca Archibugi ha anche recitato. Molto giovane, fra il 1979 e il 1982, partecipa alla miniserie Che fare? e ai film Le affinità elettive, La caduta degli angeli ribelli e Vampirismus. Ma la frequentazione del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e della Scuola di Bassano indirizza definitivamente il suo interesse dietro la macchina da presa. I suoi lavori di debutto, dal cortometraggio di diploma al primo lungometraggio Mignon è partita, riscuotono consensi e ammirazione.
Già da questi lavori, Archibugi manifesta un particolare interesse per i mondi dell’infanzia e della giovinezza, sempre più ermetici e conflittuali, che porterà poi avanti per molto tempo. Passa dal contrasto fra usi e costumi di paesi diversi, all’ambientazione delle contestazioni degli anni Settanta, al “semplice” conflitto generazionale. I suoi film mettono in scena personaggi che espongono le proprie esigenze e aspirazioni in modo diretto e senza sguardi paternalistici.

Visione e umiltà
Il tipo di sguardo, infatti, il modo di raccontare e di fare cinema, è per Francesca Archibugi un punto importante del suo lavoro. Al regista serve equilibrio fra la propria visione di ciò che sta narrando e l’umiltà necessaria a non voler rendere quella visione protagonista, a scapito della storia. Archibugi lo ha dichiarato anche a proposito di Vivere, il suo film uscito nel 2019, in cui l’età media dei personaggi si è alzata e lo sguardo della regista si è esteso all’età adulta.
Le famiglie sono il cuore delle società, anche se sempre meno sono mononucleari. Quella di Vivere comprende, in una specie di girotondo, tante persone con legami interessanti ma non di sangue. Mi sembra il modo più semplice per raccontare le persone, gli esseri umani, la nostra vita. Mi ricordo una cosa che mi disse Olmi, guardandomi negli occhi, mentre frequentavo Ipotesi cinema: “mica vorrai fare una bella inquadratura?”. C’è un modo per far sì che tutti si accorgano di una specifica inquadratura, e un altro modo per far scivolare dentro lo spettatore senza esibizionismo.
Francesca Archibugi, in un’intervista a ComingSoon.it
È una lezione importante, questa. Anzitutto per chi lavora in ambiti in cui la collaborazione tra più figure professionali è necessaria: cinema, fumetto, teatro, cosicché nessuna figura prevalga eccessivamente sull’altra. Ma anche per chi affronta il processo creativo con strumenti solitari, come la scrittura: esasperare la ricerca formale e linguistica può oscurare la storia e allontanare chi vorrebbe seguirla.
