Pubblicato nel 1982, è un’avventura surreale sospesa nel tempo e nello spazio all’insegna della solitudine e della ricerca del personale senso dell’esistenza
La trama ha per protagonista un pubblicitario trentenne – senza nome – la cui vita insoddisfacente e costellata di insuccessi viene animata da uno scopo alquanto bizzarro. Dopo aver pubblicato, in una newsletter, la foto di un paesaggio di montagna raffigurante un gregge di pecore – dove ne spicca una con una stella disegnata sulla schiena –, il pubblicitario viene ingaggiato da un emissario di un importante personaggio politico morente, detto “Il Maestro”, per ritrovarla. La ricerca sarà l’occasione per far riflettere il mediocre uomo sulla sua vita, sia sentimentale che professionale. Ogni cosa, nelle sue giornate, appare infatti priva di slancio: non esistono punti fermi a cui aggrapparsi, né obiettivi da raggiungere: tutto è tratteggiato senza un percorso chiaro, in attesa di qualcosa che riesca a smuovere quell’apatia.
La ricerca della pecora e di un perché
La ricerca della pecora è funzionale a riscoprire questo scopo, poiché l’invito a farlo non prevede un’alternativa: in un tempo determinato il pubblicitario dovrà risalire allo strano animale, capire dove è stata scattata quella foto (inviatagli da un amico, anch’esso senza nome, detto “Il Sorcio”) e informare dell’esito lo zelante incaricato, pena l’impossibilità di fare alcunché nel prossimo futuro. Abbandonata l’agenzia pubblicitaria di cui è socio, il protagonista senza nome si dirige sulle montagne dell’isola di Hokkaidō. Nel viaggio lo accompagna “la sua ragazza”, una modella insolitamente non bellissima ma dalle orecchie meravigliose e dagli strani poteri, incontrata dopo la separazione dalla moglie.
Il senso del viaggio
La pecora in questione può rappresentare tutto e niente: un po’ come il senso del viaggio. Il libro è caratterizzato da uno stile onirico che lascia in secondo piano la trama vera e propria. Occorre molta propensione a raggiungere la fine, poiché in qualsiasi momento, durante la lettura, si potrebbe chiudere il volume e riporlo nello scaffale, senza che sopraggiunga alla mente la curiosità di finirlo.
Il sole al tramonto illuminava le pecore del lato destro dando una tonalità rossastra ai loro mantelli, mentre gettava ombre bluastre su quelle del lato sinistro.
Quando entrai, duecento pecore si voltarono tutte insieme verso di me. Metà erano in piedi, metà sdraiate sulla paglia sparsa a terra. I loro occhi, due piccoli pozzi scavati al lati del muso, erano di un azzurro innaturale: illuminati frontalmente, brillavano come occhi di vetro. Le pecore rimasero immobili a guardarmi. Alcune continuavano a masticare la paglia che avevano in bocca, ma era l’unico rumore che si sentisse.
Murakami Haruki, Nel segno della pecora, p. 211
Uno stile onirico e virtuoso
Le descrizioni di gesti comuni, come bere una birra, miscelare un whisky, fumare una sigaretta – o di eventi naturali–, come il cadere della neve o lo scorrere del fiume, sono ricche di elementi metaforici e di dettagli che le rendono godibili. Ma un romanzo dovrebbe smuovere l’interesse per la storia che tratta, non limitarsi ad ammaliare con virtuosismi linguistici.
L’elemento surreale, più acceso nel finale, spezza in parte la monotonia della storia, ma non basta per riscattare la lentezza e l’opacità delle pagine precedenti.
